Incontriamo Maria Laura Matthey su “Social People Tgcom24”, la rubrica, che vi racconta il mondo dei social e le sue curiosità con i suoi protagonisti. Qui troverete tutto, sulle celebrities e i vip, che al momento mantengono altissimo l’hype sui social.
Maria Laura Matthey ha ereditato la passione per l’estetica da sua madre Liliana Paduano, pioniera nel settore negli anni ’60.
Cresciuta nel mondo della bellezza, ha sviluppato una grande esperienza come dermopigmentista, focalizzandosi sulla creatività e sull’evoluzione costante.
Nel suo My Studio a Napoli, offre un’esperienza armoniosa per le clienti, ispirata dalla sua passione per i volti umani e la trasformazione che il trucco permanente può portare.
Il suo obiettivo è migliorare la vita degli altri attraverso il suo lavoro, considerato un’eccellenza a livello nazionale.
Di recente ha realizzato il suo nuovo progetto “Luce dei miei Occhi”, che va ad aggiungersi ai suoi precedenti lavori, un mix sorprendente di talento, creatività, empatia, ed espressione dell’interiorità.
Che cos’è “Luce dei miei Occhi”?
Questo progetto nasce soprattutto per ringraziare le mie clienti pro bono, coloro che hanno una particolare sofferenza e che si rivolgono a me per sfruttare il trattamento, ma per motivi che non sono frivoli nel senso positivo del termine, ma hanno delle esigenze. Vengono da me, perché vogliono rivedersi con lo sguardo più attivo. È una questione quasi più legata alla dignità che alla bellezza. “Luce dei miei Occhi” è dedicato proprio a queste clienti, che ormai, per una ragione o per un’altra hanno perso il sorriso, la speranza e l’illusione nel futuro, io spero, che dopo il nostro trattamento, possano riavere l’espressione di luce e vitalità.
Maria Laura Matthey
Hai già iniziato a sperimentare questo progetto?
«Sì, con Adele, che è stata la prima cliente con cui ho sperimentato “Luce dei miei occhi”. È un progetto dove io realizzo un video della persona che guarda lo schermo dello smartphone, mentre io le chiedo cos’è che più di tutto fa accendere il suo sguardo. Adele, per esempio, mi ha risposto il mare. Quindi, volevo che lei avesse la stessa espressione di bellezza gioia e vitalità, impressa, nel volto e nello sguardo. Questo, ovviamente riguarda lei, è diverso per ognuno di noi. Tutti possono aderire al mio progetto».
Come si realizza un progetto così? È un mix tra talento tecnico e psicologico?
«Luce dei miei occhi è un po’ il colpo di coda, di una serie di progetti che ho iniziato nel 2005, partendo da alcuni ritratti. Dal 2005 al 2010 ero negli Stati Uniti e fermavo la gente per strada, facendo street hunting. Facevo dei complimenti inaspettati e ritraevo le loro reazioni attraverso la fotografia. C’era molta gioia, allegria e gratitudine in quegli scatti. Inconsapevolmente, stavo studiando l’aspetto espressivo della bellezza, ciò che è legato allo stato d’animo e che si trasferisce in forma sul volto».
Maria Laura Matthey poi hai voluto approfondire.
«Sì, sono entrata nel dettaglio. Ho realizzato delle mostre, focalizzate sul ritratto degli occhi, poi ho iniziato a studiare i riflessi, come ho fatto durante un viaggio in Africa, dove ho immortalato i bambini negli orfanotrofi, ed è uscito il riflesso degli occhi. L’occhio specchio, che riflette un’immagine dell’ambiente esterno. Pian piano, dopo un viaggio in India, in cui ho continuato fotografando delle farfalle negli occhi di mendicanti e bambini. Una sorta di beneficienza fai da te, dove la gratitudine faceva uscire un bello scatto. Il preludio di “Luce dei miei occhi” si chiama “Il Terzo Occhio”. È sempre un riflesso dell’ambiente esterno, ma stavolta ho immortalato più di 70 artisti, tutte persone che gravitano nel mondo dell’arte. Ho chiesto a questi personaggi che vivono di talento, che è un’altra espressione di bellezza interiorizzata, cosa li animasse. Lì l’occhio non è più un riflesso ma la proiezione dell’interiorità».
C’è stato qualcuno che ha esitato prima di rispondere alla domanda?
«Non tutti rispondono subito, qualcuno ci vuole pensare. A volte ho aspettato per avere le risposte».
Sei molto impegnata anche nell’estetica sociale. Ci sono delle nuove scoperte in questo senso?
«La tecnologia progredisce continuamente, avanza verso trattamenti sempre più sofisticati e accurati, che sono processi molto lunghi. Il cliente con alopecia ha bisogno di una cura diversa, perché risponde in maniera diversa e tutto va fatto in modo molto più delicato. Ho anche molte clienti con bruciature, alcune sfregiate dall’acido o dal fuoco. Sono trattamenti, che faccio per far sì che loro si vedano di nuovo con l’immagine di sé stesse, così come l’avevano lasciata. Quello che fa bene a me è vedere, che attraverso la mia opera, non traumatizzante e non invasiva ma talmente delicata da comportare un’enorme impegno, ricevo in cambio la gratitudine. La persona non si sente più sola e abbandonata. Nel mio ricercare l’estetica per me stessa ci sono arte e talento, ma c’è anche tanta spiritualità».